Paragonabile ad altre figure mitologiche sparse per le tradizioni del mondo, l’Omo Salvatico è il protagonista di varie leggende che coinvolgono tutta l’italia. Conosciuto sia nei nostri Appennini, che nell’arco alpino, sono stati ritrovati anche dei disegni che lo raffigurano. Un esempio è quello della Val Gerola, dove nel 1464 fu dipinto da ‘Simon et Battestinus‘ un uomo selvatico, ricoperto da pelo folto e bruno. Dal nome si evincono le sue caratteristiche fisiche e comportamentali: uomo e selvatico. Selvatico di aspetto e assiduo frequentatore di boschi e foreste.
Gli abitanti dei diversi luoghi toccati da questa leggenda, affermano che il suo aspetto non era affatto bello. Si trattava di un maschio, peloso e irto, con barba e capelli fino a toccare terra. Si aggirava là per i boschi e vicino alle abitazioni perché aveva molta fame. Per placare la fame, doveva cibarsi una volta al dì di un capo di bestiame, generando il panico nelle vite dei contadini dei luoghi vicini. Duro anche da uccidere, la sua pelle era quasi impossibile da scalfire o ferire e per questo, in provincia di Arezzo lo chiamavano anche ‘Agnolaccio’.
A Monterchi, uno dei borghi della Valtiberina, più precisamente nella campagna circostante il paese, in località La Murcia, c’è una tina, chiamata ‘Tina dell'Omo Salvatico’. La leggenda, racconta di un uomo che si aggirava intorno alle campagne vicino a La Murcia per depredare greggi e pollai. La tina è più precisamente una vasca, dove si racconta che l’Omo Salvatico era solito uccidere le sue prede, mangiarle e bere del loro sangue. La forma di questa vasca, sembra creata su misura per compiere quest’azione, poiché dotata di un piccolo foro, da dove far scolare il sangue.
La paura attanagliava le persone del posto e furono molti i tentativi di ucciderlo: tutto vano, impresa impossibile. La sua pelle era dura e nessun’arma poteva scalfirla: pareva si trattasse di una creatura immortale. Un giorno un frate da cerca venuto a conoscenza della situazione, si fermò a casa della famiglia Pancioni che viveva vicino alla tina e parlò con Marco, un giovane ragazzo. “L’Omo Salvatico non è immortale, può morire, ma solo se colpito con una pallottola benedetta”. Il frate tolse dalla tasca una moneta d’oro e pregò il ragazzo di fabbricarci una pallottola da usare contro la creatura. Marco seguì alla lettera le indicazioni suggerite, e di nuovo di fronte all’Omo, sparò e gli trafisse il cuore. Marco, il coraggioso ragazzo fu premiato dal Granduca di Toscana con una licenza di caccia gratis, per sé e famiglia, della validità di sette generazioni. Si pone fine così al racconto della leggenda dell’Omo Salvatico.
Come ogni leggenda che si rispetti, conserviamo un briciolo di realtà (spetta a voi decidere quale) e ci concentriamo su quello che l’Omo Salvatico può aver rappresentato per Monterchi. Alcuni studi lo identificano con la divinità romana popolarizzata del Fauno Silvano, entità dei boschi sacrificata per qualche tradizione durante il periodo di Carnevale. Un’altra interpretazione identifica la figura come ultima rimanenza di culto pagano e il ragazzo aiutato dal frate rappresenterebbe il Cristianesimo, che vince sul culto pagano.
Di una sola cosa siamo certi: le leggende restano in bilico ogni volta, nel filo del rasoio, fra sogno e realtà. Dalle leggende si può solo imparare ad ascoltare e conoscere le tradizioni delle nostre terre e grazie allo studio, cercare di comprenderne i motivi.